Bentornati a questo nuovo appuntamento nel quale voglio portarvi a incontrare l’arte e….il meraviglioso mondo della moda. Sì, voglio portarvi a conoscere un poliedrico artista futurista, che è ricordato per aver inventato la TUTA…..la sua vita è tutta da scoprire e da raccontare, come potrete leggere alla fine dell’articolo.

Il tè più indicato da abbinare è un misto di zenzero e agrumi, piccante, effervescente e fresco come la sua personalità!

I fratelli Michaelles, gli inventori della tuta

Siamo nel 1920 e un giovane talentuoso Ernesto Michahelles insieme con il fratello Ruggero Alfredo inventa la tuta: un abito economico – si era appena usciti dalla Prima Guerra Mondiale, semplice da realizzare – possono farlo tutte le donne che abbiano in casa una macchina da cucire e all’epoca tutte le case ne ospitavano una, faceva parte dell’arredamento, che si adatta a tutte le occasioni e che potevano portare tutti, abbattendo così le diseguaglianze sociali. Solo più tardi per le donne la tuta prese la forma di un camicione rettangolare abbottonato davanti e dagli anni ’30 chiuso con una zip, stretto in vita da una cintura, da portare con sandali bassi.

“Il più innovativo, futuristico abito mai prodotto nella storia della moda italiana” 

Per realizzare questo abito bastano 0,70 x 4,50 m. di stoffa, di cotone o canapa, stoffe dal prezzo molto contenuto, da tagliare in un solo pezzo e chiuso davanti con sette bottoni.

Rispondeva alle tre E: “Efficacia, Efficienza, Economicità” ed era un abito che lasciava libertà di movimento inizialmente usato per lo sport, ma poi anche per il lavoro e per tutte le occasioni, nelle diverse ore del giorno. Addirittura alcuni aristocratici fiorentini organizzarono all’epoca feste in tuta, che facevano evidentemente tendenza e sempre a Firenze, a piazzale Michelangelo ci fu un raduno di circa 100 “tutisti” che distribuirono volantini pubblicitari al grido di Tuttintuta!

Sul quotidiano La Nazione di Firenze del 17/6/1920 fu pubblicato un inserto FAI DA TE con un cartamodello con le misure: ”sopraveste di un solo pezzo con pantaloni e maniche, di robusto cotone o fibre speciali, indossata da operai, sportivi o persone che svolgono particolari attività”.

Le origini della parola “tuta”

In quel periodo i giovani fratelli, inventori della tuta, cambiarono i loro nomi: Ruggero Alfredo in RAM, le sue iniziali e Ernesto in THAYAHT, un nome “palindromo”, che si può leggere dalla prima o dall’ultima lettera e resta lo stesso.

Così scrive Thayaht a proposito della tuta:

  1. Utilizza tuta la stoffa
  2. È tuta d’un pezzo
  3. Veste tuta la persona
  4. In poche settimane tuta la gente indosserà la tuta, che offre il massimo comfort e libertà di movimento

La T che manca – TUTA/ TUTTA – è nella forma dell’abito e rimanda al Tau, simbolo dell’assoluto e della perfezione della creazione.

Il vocabolario recita: TUTA: abbreviazione e adattamento di TOUT-DE-MEME, TUTTI UGUALI, inventato da Tahyaht nel 1920 e il modello riproduce la parola con la T delle braccia sovrapposta ad una U ad angoli retti, con il taglio divaricante dei calzoni a rappresentare una A.

Già Balla, il pittore più importante insieme a Boccioni del movimento futurista, nel 1913 aveva scritto: ”Vogliamo abiti futuristi confortanti, pratici a mettere e a togliere, abiti che abbiano forme e colori dinamici, aggressivi, urtanti, volitivi, violenti, volanti…” E il colore blu, il più usato nelle tute, significava il cielo, ma anche il volo e la fede nel progresso.

Esempio di Prozodezhda

La tuta può essere avvicinata, seppur con diverso intento politico e sociale, alla PROZODEZHDA, un esempio di abbigliamento industriale, ideata dal Costruttivismo russo, la corrente artistica degli anni della Rivoluzione d’ottobre.

La collaborazione con la stilista Madeleine Vionnet e l’apertura della sede a Biarritz

La tuta, di cui un modello è oggi esposta al Museo del Tessuto di Prato, venne proposta da Thayaht a Madeleine Vionnet, stilista francese che dagli anni  ‘10 dal suo atelier parigino rivoluziona la moda del tempo: elimina il corsetto (strumento di costrizione), adotta morbidi drappeggi di stoffe leggere (la mussola di seta, il crepe de chine) per dare libertà di movimento.

Inventa il taglio sbieco, proprio per dare maggiore morbidezza, cioè un orientamento di 45 gradi rispetto ai fili di ordito e di trama e il moulage, cioè non utilizza il cartamodello, se non in un secondo momento, perché sistema direttamente la stoffa sul manichino per vedere come cadono le pieghe e i drappeggi. In pratica scolpisce l’abito, lo crea dal vivo….e proprio nella sua maison Thayaht approda e inizia una felice collaborazione per qualche anno, terminando nel 1925 con il manifesto per l’apertura della nuova sede a Biarritz.

Per prima cosa disegna il logo: una figura che solleva un drappo, dentro un cerchio in una cornice su una colonna  ionica molto stilizzato, ma molto elegante e che strizza l’occhio all’arte greca.

Poi idea modelli per etichette, abiti, tessuti, accessori e illustrazioni per riviste di moda – La Gazette du bon ton– e numerosi “pochoirs”, la tecnica simile allo stencil che in quegli anni si usava per le cartoline e i manifesti con coloritura manuale.

Le sue figure sono contraddistinte da linee grafiche, sinuose – che ben rispecchiavano lo stile morbido della Vionnet – in movimento, in attività sportiva –specchio di una donna libera e indipendente – all’interno spesso di ambientazioni per immaginare la storia e il carattere della donna rappresentata e trasformarla in un modello da seguire.

Thayaht sa fare un ottimo uso del colore e della costruzione geometrica, derivanti dal Futurismo e dalla “ Dynamic Simmetry” – teoria sulla colorazione scientifica e geometria dinamica, che lui conosce ad Harvard – in cui sono importanti le linee forza, piene di energia, che nascono dal movimento del corpo.

Thayaht, Composizione – 1929

Ma scopriamo qualcosa di più di questo misterioso Thayaht…

Ernesto Michahelles nasce a Firenze nel 1893 in un’agiata famiglia, da una madre americana e un nonno scultore neoclassico e, dopo gli studi ginnasiali, si dedica alla pittura. Dopo un soggiorno di studio a Parigi e un viaggio negli Stati Uniti, dove frequenta un corso d’arte, come già detto, torna a Parigi dove collabora attivamente con la stilista M. Vionnet.

Partecipa a diverse Esposizioni Internazionali di Arti Decorative, nelle quali ottiene successo di pubblico e di critica e in quella di Barcellona del 1930 vince con la Thayahttite, una lega di sua invenzione composta da alluminio e argento, alla quale ne seguirà un’altra di argento e acciaio, che utilizza per realizzare gioielli.

Conosce Marinetti, il padre del Futurismo, del quale nel 1935 realizza un busto che intitola Altoparlante italico e la sua ricerca artistica tocca tutti i campi: dal teatro in cui lavora con costumi e scenografie insieme al nonno di Dacia Maraini, Antonio, alla fotografia, ceramica, mobili, dipinti, sculture, grafica, oreficeria.

Nel 1932 con il fratello Ram scrive il Manifesto per trasformare l’abito maschile e per il Gruppo Nazionale Fascista dell’Arte della Paglia realizza cappelli per uomo e donna  studiati per l’attività sportiva dai nomi incredibili: Madrido, Pinedo, Sirtico

Il progetto Casolaria e le ispirazioni di Thayaht

Negli stessi anni progetta CASOLARIA, un’interessante casa estensibile che si amplia a seconda delle esigenze familiari, partendo da un nucleo minimo di ridotte dimensioni e case in serie, con materiali poveri, che rispondono alle esigenze di “solarità, igiene, funzionalità”.

Nel 1937 inventa FOTOSCENA, un dispositivo di luci mobili e colorate.

In pittura, negli anni ’20 le sue opere sono influenzare dal dinamismo delle linee elicoidali, circolari e da un forte uso del colore, d’influenza futurista, mentre dopo il 1945 riprende Gauguin e i suoi paesaggi tahitiani per il ritorno a una vita semplice e primitiva: ”liberazione dalla miserabile civilizzazione

In scultura realizza opere ospitare all’arte greca arcaica, dalle forme stilizzate, come il flautista e il violinista.

Negli ultimi anni comincia a interessarti di studi esoterici e di ufologia, fondando il CIRNOS, Centro Indipendente Notizie Osservazioni Spaziali.

 

Muore nel 1959 a Marina di Pietrasanta, nella casa che aveva denominato “casa gialla, in riferimento alla casa gialla ad Arles, in Provenza, dove Van Gogh visse per qualche mese con Gauguin, convivenza finita con l’automutilazione dell’orecchio…ma questa è tutta un’altra storia.